Il maestro e lo strumento – Racconto BDSM

Non mi piace la parola schiava: piuttosto penso a me come uno strumento nelle mani del mio maestro. Che è l’unico che sa suonarlo nel modo giusto. A volte è lui l’esecutore, a volte sceglie di essere il direttore d’orchestra: la melodia che esce è sempre perfetta.

Questa volta mi ha riservato delle corde ruvide, a differenza di quelle dedicate ai nodi più elaborati: significa che sarà un concerto breve e che lui, probabilmente, non parteciperà. Per prima cosa mi blocca i polsi, uno sull’altro: la corda, fin troppo stretta, arriva quasi a tagliare la pelle, impedendo ogni movimento.

Poi fa scorrere la corda intorno al collo: non stringe troppo, vuole solo che io sappia chi ha il controllo. La fa passare lungo il corpo e intorno alle gambe: sento la ruvidezza intorno alla vagina, come se una mano di spine mi accarezzasse a ogni movimento. Si ferma un attimo per osservare il suo lavoro e sembra soddisfatto: e io sono eccitata, pronta a essere suonata come al maestro piace.

Mi apre le gambe e assicura con altre corde le caviglie ai piedi del letto: non posso chiuderle, non posso rifiutare di suonare la sua musica, qualunque essa sia. Il Maestro si fa indietro e apre la porta della camera: entra un uomo, almeno credo, vestito con una specie di saio. Una maschera da medico della peste gli copre completamente il volto, quindi non posso essere sicura.

L’ospite risponde a un cenno del maestro e si fa avanti, verso il bordo del letto, dove lo attende la mia figa aperta. Solo quando è vicino estrae dal saio un enorme cazzo nero: il maestro sa che i grossi calibri per me sono un problema, e questa volta ha voluto punirmi. Per qualche mancanza che forse nemmeno ricordo.

Il nero ha l’uccello già in tiro: non aspetta ancora e lo infila dentro, lo sento spingere fino a farsi spazio all’interno della mia vagina. Sono lubrificata, è vero, ma non abbastanza per una dimensione del genere: mi irrigidisco e sento le corde che affondano ancora di più nella pelle. Il maestro sorride, mentre il nero comincia a muoversi dentro di me: un ritmo metodico, che finisce per aprirmi, anche se ogni colpo significa dolore. Non geme e non parla: probabilmente il maestro ha imposto il silenzio, per godersi meglio lo spettacolo.

Io resisto, fino a questo momento non ho lasciato uscire nemmeno un lamento dalla mia bocca: la punizione sarebbe un morso, che mi farebbe soffrire ancora di più. Però sento le lacrime che scendono lungo le guance: un piacere in più per il mio maestro. Il dolore si fa più forte quando l’uomo aumenta ancora il ritmo: il maestro mi si avvicina e strizza forte il capezzolo destro.

La sensazione è quella di uno shock: poi sento il freddo della catenella, che stringe prima su un capezzolo poi sull’altro. Si diverte a tirarla, per saggiare la mia resistenza, ma non cedo, nemmeno in quel momento. Poi fa segno all’uomo di fermarsi, mentre allenta leggermente la corda che mi stringe il collo.

Penso che la mia tortura sia finita: mi sento sollevata e allo stesso tempo triste, perché avrei potuto resistere ancora di più. Ma non è così: il nero è dietro al maestro e avvicina al mio volto il suo cazzo enorme, lucido per i miei umori. Sento un leggero strattone alla corda: segno che devo aprire la bocca. Penso di rifiutare, quell’uccello finirà per soffocarmi, ma la stretta si fa più forte e obbedisco.

Il cazzo non riesce nemmeno a entrare tutto in bocca, figuriamoci se posso pensare di succhiare: devo solo concentrarmi sul respirare e rilassarmi, altrimenti finirò per vomitare. Ma non è facile: con la stessa intensità e forza con cui mi ha scopato la figa fino a pochi minuti fa, l’uomo mascherato inizia a scoparmi la bocca. Non posso muovermi, per trovare una posizione più confortevole e, quasi senza volere, stringo i denti intorno a quel pene enorme.

La punizione non si fa attendere: il nero aumenta ancora di più il ritmo, tanto che mi sembra davvero di soffocare. Cerco di muovermi, di fare capire al maestro che non ce la faccio, ma è tutto inutile: lui sa che posso ancora resistere e mi fa capire che devo solo obbedire, con un colpo secco sul pube. Forse la sua mano, forse uno sculacciatore: so che se continuo passerà al frustino, quindi cerco di fermarmi.

L’uomo continua metodico nel suo lavoro: avanti e indietro, mentre la bocca mi si riempe di saliva che non riesco a trattenere cola sul letto, insieme alle lacrime che hanno ricominciato a scorrere. Lo sento accelerare il ritmo nuovamente e poi bloccarsi: il pene inizia a pulsare e sento la sborra calda che mi invade la bocca e scende lungo la gola.

Sembra non voler finire mai: forse si accorge che sto per tossire e mi toglie il pene, ancora duro, dalla bocca. Cerco di nuovo di rilassarmi: so che il mio maestro non ama lo sporco, quindi inghiotto tutto, anche se con fatica.

L’enorme pene nero rimane per qualche secondo davanti ai miei occhi, poi sparisce: non sento i passi dell’uomo, ma solo la porta che si apre e si richiude. Siamo rimasti soli e il maestro inizia lentamente a sciogliere i nodi delle corde, liberandomi prima i polsi e poi il collo. Finisce di sfilare la corda dal pube e slaccia i legacci alle caviglie: tutto dolcemente, come se toccasse un fiore delicato.

Poi sento un profumo di lavanda e il tocco delicato ritorna sui polsi: questa volta con la mia crema preferita, quella riservata alle grandi occasioni, a quando sono stata davvero brava e obbediente. Le mani rese morbide dalla crema scivolano intorno al mio collo: una stretta leggera mi ricorda che sono sempre una proprietà del maestro. Ma non ho mai avuto dubbi: devo solo attendere che voglia suonare con me un altro concerto, per sentire ancora questi brividi di piacere, con le sue mani delicate che corrono sulla mia pelle.

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