Conta fino a 20 – Racconto BDSM

Se mi vedessero i miei dipendenti, chissà cosa penserebbero: io, il direttore integerrimo, sposato da 30 anni con la stessa donna, tutte le domeniche a messa, mai uno scandalo, un flirt o un pettegolezzo, vestito come una cameriera e impegnato a servire la cena a un gruppo di uomini e donne abbigliati nei modi più strani.

Alcuni degli uomini sono più in basso di me, nella scala della dominazione: accucciati ai piedi della loro padrona, tenuti al guinzaglio, viene gettato loro qualche avanzo, proprio come se fossero dei cani pulciosi. A me non tocca questo destino, ma le manate sul culo da parte dei commensali, ovviamente accompagnati da commenti volgari.

E so già che questo è solo l’inizio: gli invitati si limitano a colpi che fanno scena, ma non fanno male. Il dolore appartiene solo alla mia padrona: non credo che cederebbe a nessuno questo piacere. Ed entro la fine della serata mi darà il mio premio, per averla servita in modo così devoto.

Siamo arrivati al caffè quando, avvicinandomi alla padrona seduta a capotavola, incontro un ostacolo e inciampo rovinosamente in avanti: muoversi sui tacchi non è semplice e sono sicuro di aver sentito uno sgambetto che mi ha fatto perdere l’equilibrio.

Per fortuna il vassoio è già vuoto, quindi non ho fatto danni, salvo finire lungo disteso ai piedi degli invitati: più o meno nella stessa posizione degli schiavi che osservavo prima con disprezzo. Ma la mia padrona non è contenta e non potrebbe essere altrimenti: si alza di scatto dalla sedia, mentre io cerco di ricompormi, e mi indica una panchetta che si trova in un angolo della stanza.

Non so perché, ma mi ricorda una delle panche che si trova di solito in chiesa, solo un po’ più piccola e con la parte su cui appoggiarsi stretta e scomoda. Mi fa segno di portarla in mezzo alla stanza, in modo che tutti gli invitati possano assistere alla mia umiliazione.

La trascino in silenzio e aspetto i suoi ordini: la padrona si leva il mantello e sotto è praticamente nuda, salvo un perizoma e un reggiseno in pelle nera. E gli stivali con il tacco a spillo, che già diverse volte ho provato sul mio petto.

Mi fa segno di sistemarmi sulla panca: conosco già la mia posizione, devo stare in ginocchio, con la testa appoggiata sul corrimano. Non posso alzare lo sguardo o parlare: mi è solo concesso il diritto di contare.

Sento la padrona che si muove dietro di me, mentre gli invitati ridono e commentano, suggerendo punizioni adeguate per la mia distrazione. A me interessa solo sapere cosa mi darà dolore questa volta. Le possibilità sono molte e tutte mi riempiono di eccitazione. E la mia padrona lo sa, quindi si avvicina e armeggia con il mio piccolo cazzo, infilandolo nella sua gabbietta: non devo provare nemmeno un briciolo di piacere.

“Cosa dite devo fare a una cameriera così distratta? Si merita la frusta oppure il paddle?”

Il pubblico risponde e la mia padrona li lascia vociare, finché non si sente un suggerimento che arriva dal fondo della sala.

“Vuoi provare il nuovo flogger di corda che ho costruito?”

Riconosco la voce, è il maestro delle corde, capace di legare con nodi unici e complessi: le donne riescono a trarre piacere dalla sua abilità e dalla morbidezza delle corde che utilizza, pare che la sensazione sia quella di essere accarezzate dalla seta. Invece per me sarà diverso, non sono carezze quelle che mi aspettano.

“Conta fino a 20”

Il tono della mia padrona si è fatto ancora più autoritario: so già che i numeri sono le uniche parole che mi sono concesse. A parte la nostra parola segreta: che mi sono ripromesso di non usare mai.

Il primo colpo arriva a sorpresa, senza avvertimenti o segnali: non è troppo forte, sembra quasi un colpo di assaggio, per capire come funziona questo nuovo strumento. Il dolore è breve e veloce, tanto che non mi lascia il tempo di capire quale tipo di corda è stato scelto per il flogger.

“Uno”

La mia voce è chiara, quasi squillante: solo dopo aver parlato mi rendo conto che ho quasi urlato. La mia padrona potrebbe non gradire. Il secondo colpo è decisamente più forte e sento le corde del flogger in modo più netto sulle natiche. Sono molte e mi sembrano sottili, anche se ruvide: alla fine della punizione anche solo indossare gli slip potrebbe essere un problema.

“Due, tre, quattro”

Continuo a contare e l’intensità dei colpi cresce: la mia padrona non aumenta la velocità, perché preferisce offrire un bello spettacolo ai suoi ospiti e lasciare che il mio tormento duri a lungo. Sento il vociare delle persone intorno a me, ma non distinguo più le parole: il dolore, la sua attesa, il piacere che mi da sono l’unica cosa che conta.

“Dieci, undici, dodici”

Le sferzate sono sempre più forti e sono sicuro che i segni sulla pelle non se ne andranno per un po’ di tempo: forse arriverò al punto di sanguinare, ma non credo la padrona mi voglia concedere un così grande onore. Nonostante la gabbietta, sento il pene che cerca di raggiungere una disperata erezione: non riesco a controllare ancora tutti i miei impulsi, per questo devo indossare questa prigione. Il cammino per diventare uno schiavo perfetto è ancora lungo.

“Quindici, sedici, diciassette”

Sono quasi alla fine, ma le mie natiche sono diventate quasi insensibili: nonostante i colpi decisi della mia padrona, mi sembra di essere quasi anestetizzato. Davvero, vorrei che questa agonia non finisse mai: che potessimo andare avanti all’infinito, fino che la pelle lasciasse il posto alla carne e al sangue.

Ma il braccio della mia padrona è stanco: sento che qualcuno si offre di sostituirla, ma lei non intende cedere il suo schiavo. Mi sferra gli ultimi tre colpi in una sequenza veloce, prima che mi accasci sulla panca.

La sento che si avvicina e mi mette una mano sulla testa: una carezza, preludio del tempo e delle cure che mi dedicherà quando questa serata sarà finita.

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