Che idea balorda, festeggiare la maturità con i professori: era vero che ufficialmente non eravamo più loro studenti, ma non mi sembrava una buona idea. Invece mi ero sbagliata: la festa, organizzata in un locale del centro, era stata divertente, anche perché annaffiata da cocktail nemmeno troppo annacquati. Ovviamente non tutto il corpo docente si era presentato: erano venuti i più giovani, quelli che avevano voglia di fare festa.
Compreso il professore di educazione fisica: ex pallanuotista, aveva un fisico che faceva impazzire tutte noi ragazze e anche qualche ragazzo. Ma, durante i cinque anni di liceo, era stato sempre irreprensibile.
Quella sera probabilmente si era lasciato andare: aveva ballato con le sue colleghe presenti, ma anche con qualche studentessa. E allora avevo deciso di provarci: in fondo, avevo passato gli anni a masturbarmi pensando come sarebbe stato farsi scopare da uno come lui, un uomo vero.
Avevo approfittato di un pezzo di latino per trascinarlo via dal bancone: lui si era schermito, ma dopo pochi passi aveva dimostrato di sapersela cavare benissimo. Mi ero attaccata al suo corpo, stringendogli le braccia al collo e imprigionando la sua gamba tra le mie, per un ballo ancora più sensuale.
“Non ti sembra di ballare un po’ troppo vicini?” Per tutta risposta mi ero avvicinata ancora di più, spingendo il bacino verso il suo, alla ricerca di una risposta che non aveva tardato a farsi sentire: era un prof, ma anche un uomo. E il rigonfiamento nei suoi pantaloni era la prova che il ballo gli piaceva.
“Forse sarebbe meglio cambiare passo.” Ci aveva provato di nuovo, sempre meno convinto: tanto che aveva iniziato a muovere il suo bacino contro il mio e a sollevare la sua gamba, in modo da strofinarla sul mio pube. Peccato indossasse i jeans, con dei pantaloni più sottili si sarebbe accorto di quanto ero già bagnata.
“E se invece cambiassimo posto?” Non potevo essere più sfacciata di così: per un attimo lo avevo visto interdetto, poi si era guardato intorno, alla ricerca di un angolo più riservato. Qualche secondo e mi aveva trascinato fuori dalla pista da ballo, verso la terrazza del locale: peccato ci fosse pieno di gente anche lì, intenta a godersi il fresco della notte.
Stavo già perdendo la pazienza, quando mi aveva fatto segno di tacere e seguirlo lungo le scale che scendevano verso la spiaggia: ottima idea, visto che di sotto non c’era luce.
Mi ero tolta le scarpe con i tacchi per camminare sulla sabbia: per fortuna avevamo fatto solo pochi passi, quanto bastava per ripararsi da occhi indiscreti sotto la terrazza. Anche il rumore non sarebbe stato un problema: la musica, anche se ovattata, riusciva a coprire quasi tutti i suoni.
A iniziare dai suoi gemiti: non ero andata troppo per il sottile, gli avevo aperto i pantaloni e tirato fuori l’uccello dai boxer. In effetti le gambe e tutto il resto non erano niente male. Avevo iniziato a succhiare con forza, tanto per fargli capire che non ero una ragazzina inesperta.
E il professore aveva dimostrato di gradire: spingeva con il bacino, mentre con una mano mi dirigeva la testa, cercando di dettare il ritmo. Avevo iniziato ad accarezzargli i testicoli con una mano e lui si era ritirato di scatto.
“Aspetta un po’ troietta, non vorrai che finisca tutto subito.”
Ci aveva messo pochi secondi per cambiare posizione, stendendomi sulla sabbia e infilandomi la mano sotto il vestito: non trovando ostacoli aveva assaggiato la mia figa con un dito, per poi aggiungerne quasi subito un secondo.
“Lo sapevo che ti piacciono le cose grosse, eh? Un attimo di pazienza e vedrai che ci divertiamo!”. Le dita erano diventate tre ed entravano e uscivano senza sosta: iniziavo a godere, mentre il professore mi succhiava i capezzoli attraverso il pizzo del reggiseno.
Quando i miei gemiti si erano fatti più forti mi aveva infilato la lingua in bocca, per attutire il volume: e, tolta la mano, aveva infilato il suo uccello, spingendomi ancora sulla sabbia. Nemmeno lui era andato troppo per il sottile: la dimensione era quella giusta, come la durezza. Per fortuna ero abbastanza bagnata da lasciarlo muovere con facilità, non mi aspettavo che spingesse così forte.
Avevo provato a chiudere le gambe, per rallentarlo un pò, ma lui le aveva aperte con decisione, spingendosi ancora più a fondo.
“Ti piace? Sai quanto tempo è che sogno di infilartelo dentro e di sentirti godere? Credi che non ti vedessi, come muovevi il culo quando mi passavi vicino? Lo sapevo che avevi una figa da favola.”
Mi piace avere il comando durante il sesso, ma questa situazione mi eccita da morire: cerco di allungare le mani per toccarlo, ma lui mi afferra i polsi e me li blocca sopra la testa. Va sempre più a fondo con l’uccello, con colpi sempre più secchi.
“Ho sognato di farmelo succhiare e di venirti in bocca, ma non potevo perdermi la tua figa: è bella morbida e calda, proprio come pensavo. Vedi come ti piace essere scopata da un vero uomo, non dai soliti ragazzini?”
Non riesco a parlare, ma devo dargli ragione: sto per avere un nuovo orgasmo e lui se ne accorge, e aumenta ancora di più la velocità.
“Dai godi, godi, fammi sentire che ti piace!”
Urlo, sperando che la musica copra la mia voce: e il professore comincia a spingere come un forsennato, contro la mia vagina che pulsa e cerca di spingerlo fuori.
“Godo, dai godo!”
Lo tira fuori e si sistema proprio sulle mie tette, giusto in tempo per coprirle con il suo sperma: qualche goccia mi arriva anche sulla faccia e ne approfitto per assaggiarlo. Finisce facendo scivolare la punta del suo uccello, che sta perdendo l’erezione, sui miei capezzoli, come a stimolarsi ancora un po’. Si lascia cadere di fianco a me e mi prende il lobo dell’orecchio tra i denti.
“Vedrai la prossima volta, mia porcellina: non erano solo la tua bocca e la tua figa che sognavo. Ho voglia di romperti il culo.”
Se ti è piaciuto questo racconto erotico, puoi leggere anche: