In fondo, il mio è un destino: ho ereditato un negozio di scarpe da mio padre e l’ho fatto diventare il punto di riferimento per le donne alla ricerca di una scarpa elegante, seducente, unica. Perché un tacco dodici, nero o rosso che sia, che avvolge il piede di una donna è quanto di più eccitante si può trovare al mondo. Almeno per me.
Ovviamente sono sempre stato discreto: anche se ho capito fin da ragazzo che vedere i piedi femminili fasciati in una scarpa era il modo più veloce per avere un’erezione, sono sempre stato attento a non farmi scoprire. Ogni giorno era una tortura, ma la sera potevo trovare il mio piacere nel magazzino, masturbandomi, a volte furiosamente, più volte, osservando i modelli dal tacco più alto e immaginando i piedi che li avrebbero indossati.
Nessuna delle mie clienti si era mai accorta di nulla: fino all’arrivo di quella donna con i capelli rossi. Ricca, a giudicare dai vestiti e dalla borsa, e decisamente annoiata. Anche sposata, se la fede al dito era indicativa, ma il marito non l’aveva mai accompagnata nel suo shopping, forse lasciandole carta bianca e carta di credito.
Probabilmente i piedi più belli che avessi mai visto: lunghi, sinuosi e allo stesso tempo morbidi. Ovviamente ben curati, con smalto sempre perfetto e una preferenza per il color rosso che richiamava quello della sua chioma. Sembrava avere capito subito la mia debolezza: dopo i primi acquisti aveva iniziato a passare sempre più tempo a provare e riprovare diversi modelli, tutti con tacchi vertiginosi, mostrandomi i piedi nelle varie posizioni, facendosi aiutare a calzare e levare le scarpe.
Per era un piacere e anche una tortura: non potevo dare libero sfogo al mio istinto, dovevo rimanere professionale anche se il mio uccello pulsava nei pantaloni. Anche nasconderlo era diventato difficile. Arrivare alla chiusura e potersi finalmente masturbare, fino a schizzare sull’ultimo modello che la rossa aveva provato, era liberatorio, anche se non bastava: avrei voluto ancora di più.
Finché una sera la rossa si era presentata quasi all’orario di chiusura: decisamente non di buon umore, visto che, per sua stessa ammissione, il marito avrebbe nuovamente fatto tardi al lavoro. E come rilassarsi se non provando e acquistando l’ennesimo paio di scarpe?
“Le dispiace se abbasso la serranda? È l’ultima cliente e vorrei dedicarle tutto il tempo che merita.” Avevo mantenuto un tono professionale, ma la malizia dei suoi occhi mi aveva fatto capire che anche lei non voleva essere disturbata. Chiusa la porta, mi ero dedicata a mostrarle gli ultimi modelli arrivati. Nel frattempo l’aiutavo a provarli, ogni volta accarezzando i piedi avvolti in un sottile collant scuro.
“Questo modello mi piace” aveva detto, mentre ammirava l’effetto del tacco 12 allo specchio. “E lei cosa ne pensa?”
Avevo cercato di concentrarmi sulla domanda, ma l’effetto di quel piede che si muoveva davanti a me era stato inevitabile: rischiavo di esplodere senza nemmeno slacciarmi i pantaloni. Che forse erano un po’ troppo aderenti e non nascondevano la mia erezione: anche la rossa se ne era accorta e aveva deciso di passare all’attacco.
Aveva allungato il piede verso di me, in modo che potessi toccarlo.
“Bacialo dai, lo so che lo vuoi” Non so come avesse fatto, ma mi aveva letto nel pensiero: avevo fatto scivolare le labbra sulla pelle lucida della scarpa, dalla punta fino al tacco, per poi arrivare sulla pelle, lasciando uscire la punta della lingua. Avrei pagato per potermi toccare.
“Fammi vedere quanto ti piace su!” A quel punto avevo perso quasi tutto il controllo: mi ero alzato di fretta e slacciato cintura e pantaloni, in modo che la rossa vedesse il mio uccello svettare verso i suoi piedi. E avevo aspettato i suoi ordini.
“Bene, bene, ti piace davvero un sacco. Perché non lecchi anche l’altro?”
Non mi ero fatto pregare: mi ero inginocchiato, per coprire con la lingua e le labbra anche l’altro piede, in adorazione di tanta bellezza. E la rossa aveva gradito: tanto da farmi cenno di alzarmi, per poter allungare un piede verso il mio uccello, eretto e desideroso di attenzione.
Lo aveva accarezzato leggermente prima con la punta, come a saggiarne la consistenza, poi con il tacco: mi chiedevo come sarebbe stato farmi infilzare da quel tacco così affilato, quanto dolore sarei riuscito a sopportare prima di chiedere pietà.
La scarpa aveva continuato il suo percorso, fino ad arrivare ai testicoli: gonfi e rossi, la sola pressione della punta era riuscita a farmi provare fastidio. Avevo afferrato dolcemente il piede della rossa, un po’ per limitare la stimolazione e un po’ per poter ancora godere della sensazione di quella forma perfetta.
Mi aveva lasciato fare per un po’, mentre alternavo carezze e baci su entrambi i piedi, concentrandomi soprattutto sul tacco: la voglia di sentirlo nella mia carne era anche più forte della paura del dolore.
E anche in questo caso la rossa sembrava avermi letto nel pensiero. Aveva ritratto i piedi e si era alzata dalla poltrona in cui fino a quel momento era stata seduta e mi aveva indicato il pavimento, con un gesto deciso. Per fortuna avevo scelto una moquette morbida per il negozio, così mi ero potuto stendere senza provare freddo o fastidio.
Guardandomi dall’alto, a sua completa disposizione, per qualche attimo era sembrata in dubbio su cosa fare: poi aveva sollevato il piede destro, per puntarmi il tacco direttamente al centro del petto. Il gesto e la prospettiva mi avevano tolto il fiato: riuscivo a vedere il tacco nero che mi premeva sulla carne, sempre più a fondo, quasi a volermi scavare nell’anima.
Non avevo resistito alla tentazione ed ero riuscito ad allungare una mano verso il pene: era bastato toccarmi per venire, in pochi secondi, praticamente in silenzio. Sarei tanto voluto venire su quel bellissimo piede, ma l’eccitazione mi aveva tradito. La rossa aveva sollevato il piede, per schiacciarlo di scatto, con ancora più forza.
“Chi ti ha dato il permesso di godere? Da ora in poi sei il mio schiavo, potrai venire solo come e quando lo deciderò io.”
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